La vicenda è nota: oltre 55 mila euro sarebbero stati erogati dall’Unar all’associazione Anddos, rete di circoli in tutta Italia, registrati come enti culturali, per usufruire di un regime fiscale favorevole, in realtà – secondo il programma Tv “Le iene” - destinati ad ospitare incontri anche a pagamento fra uomini gay, a promuovere pratiche sessuali estreme, a favorire la prostituzione. L’Unar, nato nel 2003, recependo una direttiva europea, ha la scopo sulla carta di “contrastare ogni forma di discriminazione fondata sull’appartenenza etnica e religiosa”. Resta difficile capire come mai questo Ufficio abbia allargato le sue attività per promuovere le comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali) e la teoria gender nelle scuole. Prof. Belletti, a dir la verità che l’Unar esulasse dai suoi ambiti era stato denunciato diverse altre volte….
R. – C’è stato un grande dibattito nel 2013-2014, quando avevano costruito una piattaforma specificamente dedicata all’Lgbt facendo entrare senza particolari meccanismi di accreditamento 29 associazioni all’interno di un comitato e poi emanando strategie di lotta a sostegno della ideologia Lgbt che dovevano entrare nelle scuole. Di fatto l’Unar ha preso posizioni molto schierate ed è un cattivo modo di gestire istituzioni che dovrebbero rappresentare un po’ tutti e non cavalcare singoli temi in modo unilaterale.
D. – Quindi si confonde la libertà di non essere discriminati, poi, alla pretesa di diritti particolari e perfino di privilegi...
R. – Diciamo che la possibilità di gestire fondi pubblici per vertenze precise va custodita con grande attenzione, perché bisogna essere capaci di valorizzare una risorsa che è tolta ad altre destinazioni e che quindi deve essere capace di custodire un bene comune. Non si può genericamente finanziare qualunque cosa e, di fatto, l’associazionismo nel mondo cattolico e le realtà più strutturate sanno quanto sia impegnativo proporre progetti ed iniziative. Le regole sono serie, le regole vanno rispettate e bisogna preoccuparsi di dove vanno a finire i soldi e della qualità dei destinatari. E allora mi spiace molto che un ente che ha una finalità importante venga piegato a interessi che sono particolarmente specifici: cioè, è un particolarismo che distorce l’uso del denaro pubblico. Ovviamente il tema è particolarmente sensibile perché sulla questione dei diritti delle persone gay, del tema dell’omofobia - su cui c’è una legge in corso, con l’ipotesi di un reato che non è mai stato definito - c’è un grande problema. E’ chiaro che episodi di intolleranza ci sono e vanno condannati ferocemente, nessuno deve aver paura della propria incolumità per il suo orientamento sessuale. Ma da lì a costruire percorsi privilegiati e a promuovere qualunque cosa, purché si intesti questa battaglia di libertà e di diritti civili ipotetica che va sotto la voce Lgbt, ne corre tanto. E’ un triste esempio di un modo poco trasparente e poco appropriato di usare risorse pubbliche.
D. – L’esigenza di un maggiore controllo va girata alla classe politica che ora trasversalmente punta il dito contro l’Unar, ma dov’erano? In fondo l’Unar siede presso la presidenza del Consiglio…
R. – Chi ha responsabilità di governo non può chiamarsi fuori, non si può dire: “Me l’hanno fatta sotto il naso, non sapevo…”. Il problema del nostro Paese è anche la ricostruzione delle catene di responsabilità e forse anche il Dipartimento per le pari opportunità, il soggetto politico a cui dovrebbe rispondere l’Unar, qualche responsabilità ce l’ha. Insomma, non si può dire: “L’ha fatto l’Unar, punto e basta”. Purtroppo non possiamo più farlo. Bisogna verificarlo e vigilare. L’Unar è un ente che va riprogrammato e protetto non va stigmatizzato per definizione perché ha fatto un errore. Però l’errore c’è stato, è grave e ci sono responsabilità, amministrative ma anche politiche.