Legislatura 16ª / seduta n. 438 - Premesso che: la sera del 12 ottobre 2010, a causa dei gravissimi incidenti che si sono verificati, non è stata giocata la partita Italia-Serbia in programma allo stadio Marassi di Genova; cionostante l'Auditel ha registrato ascolti da record con 13.421.000 spettatori ed uno share del 43,60 per cento, gli analoghi ascolti registrati durante l'ultimo festival di Sanremo;
Auditel nasce nel 1984 a Milano per rilevare - si legge nella reclame - in maniera obiettiva ed imparziale i dati sull'ascolto televisivo italiano. I rilevamenti iniziano nel 1986. Nella prima fase del lavoro è stato individuato il panel. Per fare questo sono state utilizzate ricerche sociologiche e di mercato che hanno coinvolto circa 41.000 famiglie, da cui è stato estratto in modo anonimo e casuale un gruppo ristretto di appartenenti al campione. Le ricerche vengono aggiornate semestralmente per continuare a garantire la rappresentatività del panel che ogni anno subisce un rinnovo del 25 per cento. La proprietà della società è divisa in quote del 33 per cento per le tre componenti fondamentali: televisione pubblica (RAI), emittenza privata (reti nazionali ed emittenti locali), aziende che investono in pubblicità (utenti pubblicità associati-UPA) con agenzie e centri media; il restante 1 per cento è di proprietà della Federazione italiana editori giornali (FIEG);
Auditel rileva: gli ascolti televisivi, minuto per minuto, relativi a programmi, break e spot pubblicitari trasmessi dalle emittenti nazionali e locali in Italia; gli ascolti degli ospiti; tutti i modi di trasmissione (via etere, satellitare, digitale terrestre); gli ascolti delle famiglie, intese come nucleo di persone che convivono sotto lo stesso tetto e con capofamiglia residente in Italia, gli ascolti degli individui qualora siano presenti nella stanza dove è situato il televisore e siano effettivamente all'ascolto (incluso l'utilizzo di Televideo/Teletext). Non vengono misurati invece tutti gli ascolti esterni all'abitazione principale e quelli relativi ai bambini con età inferiore ai quattro anni, quelli relativi ad emittenti italiane rilevate in altri Paesi e infine quelli di collettività;
i dati d'ascolto sono raccolti tramite il meter. Si tratta di un apparato elettronico formato da tante unità di identificazione quanti sono i televisori in funzione nell'abitazione dei soggetti che appartengono al campione. Oggi si parla di meter di "terza generazione", ovvero apparecchiature multiprocessore, molto facili da installare, non invasive, disposte per collegamento GSM e che possono essere dotate di sensori passivi di movimento. I meter UNITAM (basati sull'audio matching) raccolgono, nelle famiglie campione, tutte le tracce audio digitalizzate prodotte dagli atti di ascolto. Il meter è composto da tre unità: unità di identificazione, che riconosce e registra il canale televisivo fruito da ogni apparecchio presente nella famiglia (tv, videoregistratore, dvd, ricevitore per tv satellitare e digitale terrestre, play station); telecomando, che segnala le presenze individuali per ciascun televisore, attraverso tasti assegnati a ogni componente della famiglia e a eventuali ospiti; unità di trasmissione, che raccoglie i dati da tutti i televisori ritrasmettendoli al calcolatore centrale via linea telefonica o GSM. Le informazioni raccolte ogni giorno, tra le 2 e le 5 del mattino, sono elaborate dal computer centrale e diffuse alle 10 del mattino successivo;
i dati vengono presentati nella loro forma di base, ma spesso sono anche sintetizzati in indici statistici, che l'Eurovisione ha approvato come validi ed attendibili. Tali indici vengono calcolati sia sul dato quotidiano che su aggregati temporali maggiori. Tra i principali vi sono: audience media corrispondente al numero medio dei telespettatori di un programma, pari al rapporto fra la somma dei telespettatori presenti in ciascun minuto di un dato intervallo di tempo e la durata in minuti dell'intervallo stesso. Share: rapporto percentuale tra gli ascoltatori di una certa emittente e il totale degli ascoltatori che stanno guardando qualunque altro programma sulle diverse reti. Penetrazione: rapporto percentuale tra gli ascoltatori di una certa categoria e il loro universo statistico di riferimento. Contatti netti: sono tutte le persone, diverse fra loro, che vedono almeno 1 minuto di un certo programma, si contano una volta sola. Minuti visti: è il numero medio di minuti visti dai telespettatori per ogni programma, pari al rapporto tra l'ascolto medio di quel programma, moltiplicato per la durata e diviso per i contatti netti. Permanenza: è un indicatore della fedeltà di visione, si ottiene come rapporto percentuale tra il numero di minuti visti in media dagli ascoltatori di un certo programma e la durata dello stesso;
spesso i dati Auditel, così come il campione usato per la rilevazione (secondo Roberta Gisotti, autrice de "La favola dell'Auditel" si tratta di un campione di consumatori e non di cittadini-utenti, per nulla rappresentativo della popolazione italiana dal momento che su 10 famiglie contattate solo una accetta di porre il meter sul proprio televisore), sono stati, e continuano ad esserlo, oggetti di contestazione e critiche;
a dare inizio alle contestazioni è stata un'inchiesta di Giulio Gargia sul settimanale "Cuore". Gargia intervistò nella circostanza una ventina di famiglie appartenenti al panel Auditel, dalle cui testimonianze emersero delle clamorose distorsioni nell'uso del meter. Dall'inchiesta è nato poi un video talk show dal titolo "Gli ammutinati dell'Auditel". Gargia è anche autore del libro "L'arbitro è il venduto" dove il giornalista mette in evidenza le tante contraddizioni del sistema dell'Auditel emerse in questi anni, e, soprattutto, l'elemento di scarsa trasparenza su cui si regge l'Auditel ma anche l'AudiRadio e l'AudiWeb;
a proposito di anomalie e distorsioni, un caso emblematico finito sulle pagine dei più importanti quotidiani italiani risale al 15 luglio 2000. Secondo i dati Auditel tra le 21.03 e le 21.18 più di tre milioni di italiani erano sintonizzati su RAI Uno. In realtà a quell'ora sui monitor di RAI Uno, dopo l'interruzione per pioggia di un programma all'aperto condotto da Mara Venier e Katia Ricciarelli, è andato in onda l'orologio del segnale orario per oltre 15 minuti;
considerato che la giornalista Roberta Gisotti nel libro "La favola dell'Auditel" scrive: "Un male endemico incombe in tutte le redazioni televisive, incluse quelle dei telegiornali, un male che si è diffuso e radicato da quasi 20 anni, un male che ha fagocitato il senso stesso della comunicazione, orientandola nella ricerca spasmodica dell'audience, del consenso, del successo. Un male "creato" nei computer dell'Agb-Italia a Milano, la società che per conto dell'Auditel ogni giorno sforna i dati sugli ascolti televisivi, comunicandoli attraverso la stampa al Paese intero, come se fosse notizia di pubblica utilità. La ricerca dell'ascolto è divenuta la prima attività di ogni persona che operi in Televisione in qualunque ruolo e livello di responsabilità, dai presidenti e direttori, autori, giornalisti, conduttori, artisti fino agli impiegati e alle maestranze. Peccato che l'Auditel sia in realtà un sistema di rilevamento del tutto inaffidabile, distorsivo e fuorviante. Sul piano legale l'Auditel è una società suddivisa in parti uguali tra la Rai (33 per cento), l'emittenza privata (33 per cento) e gli Utenti della pubblicità e i Centri media (33 per cento), oltre ad 1 per cento della Federazione editori giornali (Fieg). Una società non super partes come si vorrebbe ma intra pares, dove i "controllati" sono anche i "controllori". Nata nel dicembre 1986, per spartire la torta degli investimenti pubblicitari, l'Auditel è il frutto di un "malaugurato" patto stretto tra la Rai, l'allora Fininvest SpA e l'Upa, la società che rappresenta gli utenti della pubblicità. Un patto che ha sancito il duopolio televisivo e l'ha reso inattaccabile, impedendo di fatto la nascita di un terzo, quarto, quinto polo come era auspicabile e impedendo lo sviluppo dell'emittenza locale, privata dei necessari finanziamenti pubblicitari, assorbiti per circa il 97 per cento da Rai e Mediaset, che in base ai dati Auditel raccolgono il 90 per cento e più dell'audience totale. Ma quali garanzie abbiamo sull'equità di spartizione di tali cospicui investimenti che confluiscono nella Televisione? Alcuna garanzia, eppure l'Auditel è l'unico sistema di rilevamento accettato da Rai, Mediaset e Upa per contrattare i finanziamenti pubblicitari. Questo perchè attraverso l'Auditel si è instaurato di fatto un regime di finta concorrenza, dove le quote della pubblicità tra Rai e Mediaset sono rimaste sostanzialmente invariate da 18 anni, offrendo stabilità ad un mercato lievitato di anno in anno e monopolizzato da un gruppo ristretto di grandi Marchi, che producono beni di largo consumo. Poco importa dunque ai grandi investitori che il dato Auditel sia veritiero o no e sapere con esattezza se un programma sia stato visto da un milione in più o in meno di spettatori: l'importante è mantenere l'esclusiva del più vasto mercato mediatico. La guerra dell'audience è solo un espediente per mantenere alta l'attenzione sul mercato, perchè in realtà l'Auditel è un sistema inaffidabile che non misura la qualità ma neanche la quantità. L'Auditel registra infatti con certezza solo apparecchi accesi e spesso confonde perfino i canali sintonizzati. Si serve di un campione di circa 5.000 famiglie, la cui lista è rimasta segreta perfino alle autorità dello Stato; nè sono state rivelate le 10/12.000 famiglie che dovrebbero essere già uscite dalla ricerca, circa 30.000 persone che in 19 anni mai hanno approfittato dell'opportunità di venire alla ribalta sui media. È un campione di consumatori e non di cittadini-utenti, che rappresenta solo il 10 per cento della popolazione, perchè su 10 famiglie contattate solo 1 accetta di porre il meter sul proprio televisore, e nulla sappiamo del restante 90 per cento che rifiuta di essere campionato, e di cui ignoriamo - secondo la scienza statistica - le scelte di ascolto. Inoltre è dimostrato che un apparecchio Tv per il 40 per cento del tempo in cui è acceso o non viene guardato o è visto solo distrattamente, ma basta restare sintonizzati per 31 secondi su un canale e si viene compresi nel pubblico di quel programma. Infine non vi è alcuna garanzia che le famiglie-campione, con bambini ed anziani centenari, che restano tali mediamente per 5 anni - ma alcune hanno "confessato" di esserlo state per 10-12 anni - si sottopongano con diligenza a svolgere un vero e proprio oneroso lavoro: ovvero registrare 24 ore su 24 su un telecomando cosa accade davanti alla loro Tv, in cambio di un piccolo elettrodomestico ogni anno. Sono state infatti tutte negative le testimonianze delle poche coraggiose famiglie-campione intervistate, mentre non vi è stato mai un riscontro positivo. Si aggiungono poi i limiti tecnici, per cui i dati Auditel paradossalmente sono più affidabili - fatte salve le riserve sopra elencate - sui grandi numeri, nelle ore di maggiore ascolto, per cui un emittente minore come La7 può maturare errori di stima fino al 70 per cento al mattino. C'è poi il problema delle sovrapposizioni di frequenze tra le Reti. Nelle ore serali solo Rai 1, Canale 5 e La 7 non si sovrappongono, e al pomeriggio solo Rai 2 e La 7, mentre tutte le altre emittenti spesso si confondono ed è impossibile attribuire con certezza le audience dei vari canali. Ma ciò che interessa tutti è la ricaduta degli indici d'ascolto sull'intera società, perchè l'Auditel ha assunto la valenza di consenso popolare, oltre che veicolo di valori e disvalori, di consumi e stili di vita, di orientamenti politici, ideologici, culturali, religiosi che sono proposti o meglio imposti come scelte di una maggioranza che s'identifica con l'audience - entità impalpabile, virtuale - ma che diviene dominante, perchè nell'accezione comune il dato Auditel è quello che la gente vuole. Ma in realtà la gente vuole quello che decide l'Auditel. E cosí siamo arrivati al punto che noi cittadini che accendiamo la tv e coloro che lavorano in tv partecipiamo inconsapevoli a una colossale messinscena a uso esclusivo della vendita di pubblicità. Credo che il Parlamento di un Paese democratico, come è l'Italia, non possa e non debba più demandare di porre mano alla questione Auditel, strumento privato di potere coercitivo della pubblicità, che di fatto si è impossessata della comunicazione televisiva a propri fini commerciali, a danno della libertà di espressione, della creazione intellettuale, del veritiero consenso del pubblico, della crescita culturale e sociale della popolazione",
si chiede di sapere:
se - a quanto risulti al Governo - corrisponda al vero che:
l'Auditel registri con certezza solo apparecchi accesi e spesso confonde perfino i canali sintonizzati;
si serva di un campione di circa 5.000 famiglie, la cui lista è rimasta segreta perfino alle autorità dello Stato; non siano state rivelate le 10/12.000 famiglie che dovrebbero essere già uscite dalla ricerca, circa 30.000 persone che in 19 anni mai hanno approfittato dell'opportunità di venire alla ribalta sui media; che quello scelto sia un campione di consumatori e non di cittadini-utenti, che rappresenta solo il 10 per cento della popolazione, perchè su 10 famiglie contattate solo 1 accetta di porre il meter sul proprio televisore, senza che si sappia nulla del restante 90 per cento che rifiuta di essere campionato, e di cui si ignora - secondo la scienza statistica - le scelte di ascolto; sia dimostrato che un apparecchio Tv per il 40 per cento del tempo in cui è acceso o non viene guardato o è visto solo distrattamente, mentre basta restare sintonizzati per 31 secondi su un canale per essere compresi nel pubblico di quel programma;
come sia possibile che una partita che non è stata giocata, abbia avuto gli stessi spettatori - secondo Auditel - di una partita giocata ed analogo share di altri eventi importanti Tv come il festival di Sanremo; e se convenga che tale episodio possa rappresentare la prova inconfutabile di un lungo inganno degli ascolti televisivi a danno della famiglie, degli investitori e delle imprese indotti ad investire ingenti risorse pubblicitarie su dati spesso poco veritieri;
se il Governo non ritenga promuovere iniziative di competenza affinchè si ponga fine ad un sistema di rilevazione degli ascolti poco affidabile come il sistema privato Auditel, che riesce a condizionare gli investimenti pubblicitari da un canale all'altro a seconda dello share e degli indici presunti degli ascolti stessi;
se il Governo, per porre fine ad una polemica che interessa un sistema di rilevazione degli ascolti posticcio e poco affidabile, non intenda attribuire i compiti e le funzioni stesse svolte oggi dall'Auditel alla Autorità per le garanzie delle comunicazioni, che potrebbe, in tal modo, assolvere a compiti pregnanti, riscattando l'immobilismo e gli altissimi oneri sostenuti dalla collettività per la sua esistenza.
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