D. – Quanto è contato il coraggio nel cammino di dialogo tra ebrei e cristiani, dal Concilio Vaticano II ad oggi?
R. – Il coraggio è contato molto: il coraggio nutrito, nella storia di Karol Wojtyla, dalla conoscenza profonda del mondo ebraico vissuto a Cracovia, nella sua città, a contatto con tanti ebrei, suoi compagni di studio, suoi amici, e poi quegli ebrei che lui ha visto scomparire a migliaia, durante la Seconda Guerra mondiale e durante la Shoah. Questa storia personale di incontro con la sofferenza del mondo ebraico ha plasmato la vita di Karol Wojtyla che poi, da Papa, ha saputo in certo modo rivivere questa sofferenza del mondo ebraico e riaccoglierla nell’amicizia con il mondo cristiano. Io vorrei ricordare in particolare ciò che Papa Giovanni Paolo II ha fatto per stabilire, per la prima volta nella storia, relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele: la sua visita a Gerusalemme ma, prima ancora, la visita al Tempio maggiore di Roma e l’incontro con il rabbino Toaff. Tutto questo – questa storia di coraggio – è stata vissuto anche da Papa Roncalli, da Giovanni XXIII, che ha conosciuto anche lui la sofferenza degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale, quando era a Istanbul, e ne ha visti passare tanti e ne ha salvati molti. Ma soprattutto, Giovanni XXIII ha avuto il coraggio, ancora prima del Concilio, di far togliere quella definizione di “perfidi giudei” che era in una delle preghiere del Venerdì Santo. P piccole cose, che però hanno avuto un grande impatto nella storia dei rapporti tra l’ebraismo e il cristianesimo.
D. – Quanto è importante, attraverso iniziative come questo Convegno, fare memoria storica dei rapporti tra ebrei e cristiani, dal Concilio ad oggi?
R. – Questa mattina, il rabbino Rosen ha detto qualcosa di molto importante: “Cinquant’anni fa, non era nemmeno immaginabile lo stato delle relazioni – storiche, teologiche e soprattutto di amicizia – tra ebrei e cristiani, e questo è un fatto”, anche se ci sono tante questioni aperte, tante questioni da risolvere e altre che non saranno mai risolte per la diversità tra le due fedi. Ma certamente, l’essersi conosciuti meglio, l’essersi incontrati e aver compreso la sofferenza del mondo ebraico per noi cristiani ha avuto un significato anche di totale distacco dall’antisemitismo che c’è stato nei secoli passati. Ormai, il mondo cristiano è avviato a una grande solidarietà e a una grande amicizia con il mondo ebraico. Tanta strada è ancora da fare, ma oggi ci siamo incontrati e conosciuti e soprattutto abbiamo conosciuto la loro sofferenza.
D. – In questo cammino di dialogo e di ricercata amicizia tra ebrei e cristiani sono stati e sono anche Paolo VI e Giovanni Paolo I, Benedetto XVI e oggi Papa Francesco…
R. – Sì, certamente, vi è la grande sensibilità della Chiesa del Concilio, di cui Paolo VI è stato un artefice, avendo portato a compimento questo grande evento ecclesiale. E poi Giovanni Paolo I e Papa Benedetto XVI che ha, lui stesso, visitato il Tempio maggiore di Roma e tante altre sinagoghe nei suoi viaggi in Europa e soprattutto con il suo viaggio a Gerusalemme, in Terra Santa. E, su Papa Francesco si può dire che, essendo stato per tanti anni pastore di una grande città, di una megalopoli come Buenos Aires, dove vivono tantissimi ebrei – perché va ricordato che l’Argentina è stata luogo di rifugio degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale – ha stabilito relazioni di collaborazione e di amicizia che oggi non possono non rifluire nel suo Pontificato, nelle sue parole, nella sua coscienza e soprattutto nella sua guida della Chiesa.