Ai medici succede ormai di sentirsi richiedere dai pazienti stessi nuove terapie. Di dubbia efficacia, perchè non ancora sperimentate. Gli ammalati vedono in televisione l'annuncio di una nuova cura. Pensano sia subito disponibile e di sicura efficacia. Nessuno dagli schermi televisivi spiega loro quanto lungo sia il cammino tra la scoperta di una molecola in laboratorio e l'uso di quella sostanza per la cura sull'uomo. Troppi farmaci di cui si parla trionfalmente in televisione, sono in realtà ancora oggetto di sperimentazione. Sono semplici ipotesi di cura, non ancora certezze. Vien quasi da rimpiangere la seriosità paludata delle prime trasmissioni scientifiche della Rai. Sin dagli esordi nel 1954, con il programma "Conversazioni scientifiche", la Rai cercò di avvicinare i temi della salute e della scienza con equilibrio e prudenza. Erano gli stessi scienziati a condurre i programmi, trasformando gli studi tv in una sorta di aula-laboratorio. In seguito furono giornalisti di vaglia a condurre: Ugo Zatterin, Enzo Biagi, Brando Giordani, Giulio Macchi, Sergio Zavoli. Poi Biagio Agnes, Luciano Onder, e Piero Angela, che porta la scienza in prima serata. La fine del monopolio e il proliferare dei programmi hanno reso il panorama televisivo più variegato. Ma forse anche più insidioso quanto ad affidabilità dell'informazione sulla salute. Le fiction, inoltre, hanno falsato non di rado l'immagine della professione medica e della vita in corsia.Una prima ampia ricognizione sul ruolo svolto dalla televisione italiana nell'informazione medica è offerta da Roberta Gisotti e Mariavittoria Savini, due giornaliste ben attente alle responsabilità etiche di chi fa comunicazione. Nel libro "Tv buona dottoressa? La medicina nella televisione italiana dal 1954 a oggi" (Rai Eri, 292 pagine, 18 euro), Gisotti e Savini documentano generi e tendenze, forme e contenuti delle trasmissioni specializzate dagli albori della Tv nell'Italia del secondo dopoguerra, all'odierna società dell'informazione globale. Dove cresce la domanda di un'informazione scientifica capillare e Internet dà risposte prive talvolta di qualsiasi attendibilità. Come emerge dalle interviste a rilevanti personalità del mondo scientifico (da Silvio Garattini a Rita Levi Montalcini) e giornalistico (da Lorenzo Del Boca a Margherita De Bac), competenza, correttezza e rigore scientifico sono ingredienti indispensabili per ogni comunicatore rispettoso del proprio ruolo e del proprio pubblico. Eppure questi elementi, sufficienti per una buona "divulgazione" della medicina, non bastano per una buona "comunicazione" della medicina. Tale comunicazione, in una società democratica moderna, non ha il compito solo di "educare" il pubblico, bensì di offrire uno spazio di "discussione" su temi che riguardano la salute dei singoli e della collettività. Il racconto della medicina non può ridursi a una storia semplificata di mirabolanti scoperte. A un racconto lineare e indipendente dal contesto storico e sociale, che inizia in un laboratorio di ricerca e termina sul bancone di una farmacia o tra le corsie d'ospedale. Ricerca di base e ricadute tecnologiche sono sottoposte alla pressione di molteplici interessi. Spesso in conflitto fra loro, mediati da numerosi attori sociali. Ciascuno dei quali persegue valori, aspettative e obiettivi diversi.Se non ci si accontenta di riduttive semplificazioni, non sembra possibile raccontare la medicina contemporanea senza tener conto di tutti quei fattori economici, etici, sociali e politici che ne indirizzano lo sviluppo. Consapevolezza critica e capacità di contestualizzare i fatti della scienza e della medicina sono bussole indispensabili per raccontare anche i problemi di un settore complesso come quello della sanità: dai conflitti di interesse all'accessibilità delle informazioni; dall'attendibilità dei saperi specialistici alla gestione delle risorse economiche; dalla progressiva medicalizzazione della società fino alla rivendicazione dei cittadini a una partecipazione più attiva nelle decisioni che riguardano la loro salute. La medicina moderna è un business colossale, con una spesa farmaceutica in costante aumento. E legami strettissimi tra industria, ricerca, clinica e informazione medica. Il rapporto tra scienza e media, dunque, non è facile, avverte l'oncologo Umberto Veronesi, nella prefazione. Tuttavia, rimarca Veronesi, "il nuovo millennio ha inaugurato l'era della medicina del dialogo, del rapporto paritario fra medico e paziente, fra cittadino e ricercatore, lasciando alle spalle l'epoca paternalistica o supertecnica della scienza medica, che relegava il paziente e i suoi familiari in una posizione di debolezza e smarrimento, proprio nel momento critico della malattia". Il buon giornalista medico-scientifico, conclude Veronesi, deve favorire "un approccio razionale e costruttivo alla salute e alla sua tutela, in opposizione ai condizionamenti delle paure recondite della patologia come mistero indecifrabile e imponderabile"