[...] Al di là di ogni polemica sulle ragioni del 'sì' e del 'no', credo che sia doveroso in democrazia il rispetto di un risultato referendario, che ha espresso un'astensione massiccia degli elettori dalle urne o per manifesto dissenso sulle ragioni dei quesiti referendari, o per sfiducia nello strumento referendario per dirimere questo argomento, o per disinteresse al tema in oggetto.
Non vedo perché questa scelta di 'non voto' debba essere stigmatizzata in uno Stato di diritto, quando lo stesso Istituto del Referendum prevede che il mancato raggiungimento del quorum sia causa per invalidare la consultazione.
Il popolo è sovrano e decide in piena libertà, dopo essere stato informato, e lo è stato.
È chiaro che il fronte del 'sì' per vincere doveva soddisfare due condizioni insieme: quella di raggiungere il quorum e quella di contare un maggior numero di voti favorevoli; mentre il fronte del 'no' per vincere poteva soddisfare una sola delle due condizioni: o far mancare il quorum o contare un maggior numero di voti contrari.
Si comprende dunque l' attacco 'strategico' dei promotori del Referendum contro chi per motivi di altrettanto 'strategica' contabilità ai fini della vittoria del fronte del 'no' si è attivato per l'astensione. Tutto nelle regole della democrazia, dove la matematica è indispensabile.
Non rientra invece nel gioco democratico il dileggio largamente praticato prima e dopo la consultazione referendaria da parte di una piccola minoranza perdente di poco superiore al 20 per cento contro chi per diverse ragioni ha contribuito scientemente ad esprimere una maggioranza di quasi l'80 per cento tra chi si è astenuto e chi oltre il 10 per cento ha votato 'no' comunque contraria alla modifica di una Legge approvata dal Parlamento, espressione dell'intero elettorato sovrano nelle sue scelte, al di là delle confessioni religiose, origini etniche, ideologie politiche.